Oggi lasciamo la parola a Christine Bader, ex direttrice della responsabilità sociale di Amazon che riflette su quanto appreso grazie alla sua decisione di lasciare il lavoro.
È una riflessione – apparsa il 16.11 su www.fastcompany.com – collegata al fenomeno de Le Grandi Dimissioni che sta soffiando in lungo e in largo anche in Italia. Siamo pronti ad andarcene? Come vogliamo cambiare? Perché un nuovo brillante percorso si apra davanti a noi, attenzione a non sbattere porte, o uscire furtivi. Sempre testa alta e riconoscenza dei meriti, persino dei demeriti ché sempre hanno i loro risvolti d’insegnamento.
“Anni fa, ero la direttrice della responsabilità sociale di Amazon e gestivo un programma di verifica delle condizioni di lavoro nelle fabbriche che realizzavano i prodotti a marchio Amazon. Il lavoro era ad alta pressione, frenetico, con infinite opportunità di impatto e crescita e infinite opportunità di lavoro, che alla fine si sono rivelate incompatibili con il resto della mia vita.
Mentre molte persone hanno prosperato in quell’ambiente, ho assistito a molte partenze durante la mia permanenza. Sorprendentemente, gli esiti peggiori non sono stati quelli di chi è stato licenziato, ma di chi ha smesso di propria volontà. In altre parole, coloro che potevano scegliere i propri tempi e la propria narrazione spesso sceglievano male, lasciando i colleghi nei guai o completamente all’oscuro, con un fantasma e senza alcun preavviso.
Ma lasciare un lavoro in malo modo può minare la vita migliore per la quale stai partendo. Come nelle nostre relazioni personali, la chiusura è fondamentale per la nostra capacità di andare avanti.
Smettere è molto in voga tra coloro che possono permetterselo. I lavoratori, in particolare quelli sotto i 40 anni, chiedevano sempre più obiettivi e flessibilità. La pandemia ha accelerato la tendenza: a settembre, circa 4,4 milioni di lavoratori si sono uniti ne Le Grandi Dimissioni e hanno lasciato volontariamente il loro lavoro, il più grande conteggio mensile mai registrato.
Dei milioni di persone che hanno dato le dimissioni, quelli che se ne sono andati con grazia e chiusura avranno un tempo molto più facile per andare avanti grazie alla tranquillità che sentono e irradiano, per non parlare dei riferimenti positivi dei loro precedenti datori di lavoro.
Come responsabile delle assunzioni, i miei campanelli d’allarme interni risuonavano quando i candidati facevano fatica a spiegare perché avevano lasciato o volevano lasciare il loro lavoro. I motivi negativi andavano bene - dopotutto stavano facendo un colloquio con me - ma era molto meglio quando potevano parlarne in modo pulito e corretto. Un test utile che possiamo fare su di noi è chiedersi: “Mi dispiacerebbe se parlassero di me allo stesso modo con il loro prossimo datore di lavoro?”.
Per il bene della nostra salute mentale, integrità, occupabilità e delle persone intorno a noi, conviene imparare a dimettersi in modo appropriato. Potresti non aver amato ogni minuto di un lavoro, ma hai imparato qualcosa da quell’esperienza. E naturalmente gli ex colleghi possono apparire ovunque, dal tuo prossimo posto di lavoro all’isola remota in cui sei fuggito per rigenerarti. Anche se le persone non ti seguono, la tua reputazione e le tue relazioni lo faranno.”
Per leggere l’intero articolo: qui il link all'articolo originale in inglese, oppure sotto c'è la traduzione da noi curata in download.
Ci vuole coraggio - ho pensato la prima volta che conobbi Piera - a proporre le Fiabe in azienda.
Può suonare quasi una presa in giro, qualcuno potrebbe sentirsi addirittura offeso.
Perché il lavoro è qualcosa che ha a che fare con la sfera razionale, con il proprio background di conoscenze, con la professionalità, a volte con la competitività o magari con la serenità di rimanere nella routine.
Senza ombra di dubbio se ci si alza la mattina per andare a lavorare, lo si fa seriamente: non di certo per ascoltare delle Fiabe.
Per tutto questo e molto altro ancora, non avrei mai pensato che potessi io stessa sperimentare in azienda la potenza delle Fiabe, e innescare in un sol colpo una dinamo di tutti i pregiudizi bloccanti, che ci ingolfano e ci fanno male.
Le Fiabe insegnano ai bambini il bene e il male attraverso metafore della vita reale.
Le Fiabe contengono perle di saggezza che vanno direttamente al cuore, senza essere filtrate dalla mente.
Le Fiabe possono illuminare i grandi, perché possono entrare senza chiedere il permesso.
Le Fiabe in azienda portano novità perché le persone che hanno provato, hanno capito che ci sono altri modi di vedere la realtà e che ciascuno di noi è impreziosito dal poter scegliere.
Tornare ad ascoltare, ad ascoltarsi dà una marcia in più. Questo ho imparato con le Fiabe e non ho mai dimenticato.
Grazie Piera.
Sara Chiaravalli, Milano, testimonianza
Quando diventa vecchia una persona? Quando smette di imparare, dicono i saggi. La plasticità del nostro cervello ci permette di apprendere fino a quando siamo vivi: nuovi percorsi neuronali possono essere attivati a ogni età, con i 10 milioni di miliardi di cellule nervose che abbiamo. Gli scienziati le hanno contate a una a una.
A volte siamo costretti a imparare, come ha fatto il virus con noi. Costretti a diventare nativi digitali, pena l’esclusione dal mondo del lavoro e delle cure. Le nostre vite, le cucine, i salotti, i letti di ospedale sono entrati in rete e ci siamo connessi grazie al Wi-Fi, dimentichi che lo siamo sempre attraverso le nostre menti e i nostri cervelli. Ci voleva una pandemia per farci comprendere che siamo vivi adesso ed è un miracolo, e che siamo connessi anche senza internet.
Abbiamo salutato parenti da una stanza di quarantena, presentato lavori a persone di tutta Italia altrimenti non raggiungibili in presenza, insegnato a giocare Fiabe con gruppi di adulti, creato nuove alleanze in reti di eccellenza. Abbiamo studiato marketing, canvas e cantastorieria. Tra pochi mesi i nostri Narrative Coach potranno essere accolti in aziende, ospedali, ambulatori, associazioni, comuni, scuole e chi più ne ha più ne metta come facilitatori tirocinanti di coaching narrativo nella gestione dei conflitti, certificati in medicina narrativa.
La presenza umana in tutto il mondo attraverso il digitale ha potuto rincuorare, stimolare, rasserenare, sferzare, prendersi cura della fatica che altri compivano a chilometri di distanza. Ci siamo aggiornati apprendendo nuovi strumenti di marketing, disegno, scrittura, public speaking, counseling, comunicazione assertiva, mediazione. Abbiamo attraversato gallerie di musei meravigliosi dal divano e preso aperitivi con parenti sparsi in tutta Europa di sabato sera alle 19, potendoci guardare negli occhi e dire stupidaggini da riderci su.
Non è la stessa cosa giocare a rincorrersi, improvvisare, fare le facce buffe o esprimere un disaccordo: è più facile se siamo in presenza, la spontaneità viene dritta. Ma questo modo artificiale ci ha costretti tutti a prestare attenzione a cosa vogliamo comunicare davvero. Il tempo è prezioso. A volte la linea non prende, il telefono scivola, il gatto passa ed è fondamentale comprendersi, con un messaggio chiaro e che non crei malintesi. Non parlare uno sopra l’altro, coinvolgere chi sta in silenzio, chiedere il parere di ciascuno, trovare una chiusura che lasci tutti sereni. Perché quei minuti insieme, ore e mezze ore di discorsi sulle piante da orto o sull’aggiornamento per traghettare l’azienda nel futuro, sono importantissimi e tracciano le azioni concrete non virtuali.
Essere umani è un’esperienza straordinaria, parliamo con un uso articolato della sintassi da non più di 40.000 anni, ma calpestiamo il pianeta da 3,2 milioni di anni. Significa che ci son voluti 3.160.000 anni per imparare a comunicare con le parole. Prima ci capivamo bene con la mimica di mani, corpo e volto, con il canto e la danza; per questo ancora oggi la comunicazione non verbale è molto significativa nella nostra esperienza. Il nostro cervello ne è impregnato e ci manca quando comunichiamo online. Un neonato di pochi mesi è in grado di mentalizzare i sentimenti dei genitori e sa coinvolgerli nel proprio accudimento in modo appropriato. Perché fa parte del patrimonio genetico della nostra specie.
Siamo immersi in una rivoluzione epocale come il tortellino nel brodo, e belli inzuppati non ce ne rendiamo conto: l’intelligenza artificiale sta cambiando per sempre le nostre vite e un gap consistente si sta creando tra junior e senior, tra chi va alle elementari e chi all’università della terza età. Il nostro amato pianeta sta soffrendo, ci siamo moltiplicati inverosimilmente e attraverso la tecnologia abbiamo dimenticato l’allineamento al ritmo della natura, illudendoci di dominarla. Da quando Gutenberg scoprì la stampa nel 1464 oggi esploriamo Marte. In questi pochi secoli, grazie all’aiuto della tecnica, la capacità di apprendimento del nostro cervello animale e sociale ha raggiunto un’accelerazione fortissima.
Più che chiederci se un cyborg provi emozioni e se le sentiment analysis del marketing finanziario possano tornare utili anche in telemedicina, noi Cantastorie ci occupiamo di ricordare agli umani cosa significa essere esseri umani. Esseri. Creature intangibili. Ognuno di noi, grazie a carne, ciccia e brufoli, con il corpo come astronave, attraversa mondi naturali e fantastici, digitali e concreti, si manifesta, crea, trasforma, cresce in consapevolezza e si prende cura di un insieme sempre più vasto e complesso. Una riflessione ontologica sull’esistenza si pone davanti ai nostri occhi, nell’era del miracolo di essere vivi.
Cosa hanno da insegnarci le persone anziane, se non sanno utilizzare la tecnologia? Quanta saggezza distillata dalle loro esistenze potremmo offrire ai ragazzi di oggi! Serve tempo per farlo, e ascoltare davvero. Serve fermarsi e mettersi “a livello di prato”, nello spazio dell’attenzione autentica, non del sottofondo da dove la vita scorre come sabbia tra le dita. La tecnologia, utilizzata da umani consapevoli, da mammiferi coscienti di avere una coscienza, ci porterà verso mondi a misura del futuro che ci attende. Così come l’abilità di parlare ci ha fatto evolvere come specie, anche il digitale modificherà il nostro cervello e non sarà per tutti.
Buon Natale a tutti, amici, curiosi, affezionati, imitatori, compagni di strada o cacciatori di novità per restare sulla cresta dell’onda. Come entronauti forzati, ce lo meritiamo proprio, un buon Natale. Ci si prospettano lunghi mesi di allenamento-a-stare-dentro, in ascolto di noi per primi, per essere capaci di rispondere alle sollecitazioni forti che provengono dall’esterno. È tempo da mezzofondisti, da maratoneti, da triatleti.
È possibile avere ali verdi e blu come le cicale, per cantare di nuovo la nostra estate insieme agli amici? Certo, tutto cambia, torneremo a riabbracciarci. Le nostre cellule cambiano velocissime, più del 5G. Fanno dai 3 ai 7 miliardi di operazioni in un secondo, dice la scienza, scambiandosi informazioni e nutrienti per mantenerci sani e intelligenti, con gli occhi sempre in mezzo al volto e le 36 vertebre una in fila all’altra.
Noi invece, da bravi animali che raccontano storie, da mammiferi evoluti che hanno coscienza di avere coscienza, di questa vita specialissima che ci vive da dentro, ne facciamo un fagotto e lo mettiamo nello stambugio. Non ci hanno insegnato ad ascoltarci purtroppo, e non ne abbiamo colpa. Ascoltarsi è roba da bambini, da chi ha tempo da perdere. Così mi dicono nelle aziende, è un tema già trattato ampiamente. Lasciamolo a un’élite di intellettuali, meditanti, ricercatori in medicina narrativa - il nostro treno corre ad alta velocità, non possiamo fermarlo.
Invece stop. Il cambiamento epocale in atto passa proprio di qui, nel silenzio di quel fagotto arruffato. Per Natale auguro di portare ordine nella stanza dove alla rifusa riponiamo le cose quotidiane che non sappiamo gestire, in attesa di momenti propizi e calmi per collocarle e nutrircene. Solo che il momento è adesso, il ritmo dell’evoluzione non rallenterà. Ci saranno persone tagliate fuori dal digitale e ci saranno persone che il digitale vomiterà per mancanza di umanità.
Sì, perché tutto è ritracciabile online, le menzogne hanno vita breve e la spiritualità è una componente dell’umanità. Jung, psicanalista svizzero classe 1875, studioso di sogni, archetipi e inconscio collettivo, individuò le funzioni psichiche di sensazione, sentimento, pensiero e intuizione. Noi vecchi Cantastorie millenari che le sappiamo tutte, da prima dei libri narriamo che l’essere umano è composto simbolicamente di corpo, emozioni, razionalità e spiritualità.
Persona? In greco significa maschera, cerchiamo di arrivare nudi il 25 dicembre.
Spiritualità? Per Chomsky è parola presente in tutte le lingue del pianeta. Non c’è sottoscala in cui la vittoria dei nostri valori etici non sia agognata, né in azienda, né in famiglia. Portiamo la luce in quel fagotto a Natale, prendiamoci cura di noi, con benevolenza.
IL POVERO CHE C’È IN NOI
Vi ammiro, voi cristiani, perché identificate Cristo con il povero e il povero con Cristo, e quando date del pane a un povero sapete di darlo a Gesù.
Ciò che mi è più difficile comprendere è la difficoltà che avete di riconoscere Gesù nel povero che è in voi.
Quando avete fame di guarigione o di affetto, perché non lo volete riconoscere? Quando vi scoprite nudi, quando vi scoprite stranieri a voi stessi, quando vi ritrovate in prigione e malati, perché non sapete vedere questa fragilità come la figura di Gesù in voi?
Accettare se stessi sembra molto semplice, ma le cose semplici sono sempre le più difficili. L’arte di essere semplici è la più elevata, così come accettare se stessi è l’essenza del problema etico e il nocciolo di un’intera visione del mondo.
Ospitando un mendicante, perdonando chi mi ha offeso, arrivando perfino ad amare un mio nemico nel nome di Cristo, do prova senza alcun dubbio di grande virtù. Quel che faccio al più piccolo dei miei fratelli l’ho fatto a Cristo!
Ma se io scoprissi che il più piccolo di tutti, il più povero di tutti i mendicanti, il più sfacciato degli offensori, il nemico stesso è in me; che sono io stesso ad aver bisogno dell’elemosina della mia bontà, che io stesso sono il nemico da amare, allora che cosa accadrebbe?
Di solito assistiamo in questo caso al rovesciamento della verità cristiana. Allora scompaiono amore e pazienza, insultiamo il fratello che è in noi, ci condanniamo e ci adiriamo contro noi stessi, ci nascondiamo agli occhi del mondo e neghiamo di aver mai conosciuto quel miserabile che è in noi.
E se fosse stato Dio stesso a presentarsi a noi sotto quella forma spregevole, lo avremmo rinnegato mille volte prima del canto del gallo.
Carl Gustav Jung, lettera a un’amica
“Si deve essere ancora vicini ai fiori, alle erbe e alle farfalle come i bambini, che non sono molto più alti di loro. […] Chi vuol prendere parte a ogni cosa buona, in certe ore deve anche sapere essere piccolo”. (Nietzsche, Umano, troppo umano)
Sembra astratto parlare di umanità e qualità umane nelle organizzazioni o in terapia, ma è molto concreto. Farsi piccoli, entrare nei dettagli con lo sguardo limpido e ardito, poi senza paure accogliere quel che c’è, mai visto prima, assolutamente terreno vergine di neve freschissima. E con questa freschezza diventare altro, ricchi dell’incontro che ci trasporta alla velocità della luce in luoghi sconosciuti e senza paradigmi. Dove incontrare altre persone, con cui costruire bene qualcosa di “buono, bello e utile” (1).
La saggezza arcaica oggi non serve più. Per gli autori di Pivot verso il futuro (2) “nell'era digitale quando si tratta di trasformazione del business la saggezza convenzionale non ha più alcuna validità”. Se passato, presente e futuro sono un unico accelerato movimento di espansione continua, come si fa a “trasformare le minacce esistenziali di oggi e di domani in una crescita sostenibile”? Serve coraggio, per liberare il valore intrappolato nei vecchi schemi, serve un metodo per calmare la mente mentre osiamo.
A dirla con le Fiabe millenarie serve ora una saggezza archetipica, quella che se ne sta sempre full immersion in intelligenza collettiva. Mica facile. Significa consapevolezza di sé in alto grado, come igiene quotidiana senza la quale non uscire nemmeno di casa. Significa la Qualità Umana bella stesa fuori all’aria, non sommersa ma attiva e concretamente costruttiva. Al servizio di quei gesti che di necessità van fatti subito a livello alto, da parte di una moltitudine, non solo dei capi. Chi resta indietro non riuscirà a recuperare, la trasformazione varca un buco nero e ci trasporta in una nuova era. Un vortice di umanità che evolve, elevandosi insieme al pianeta tutto, ssshhhhhh, vvvrrrooommm!
Per approdare insieme a molti sull’altra sponda di questa evoluzione culturale in atto, resterò piccola. Raccolta nel fiore del respiro, ad altezza di prato. Inginocchiata davanti alla Bellezza del Creato, a offrire a piene mani il mio piccolo fiore (3). Circonderò la Madre di tutte le Bellezze in un abbraccio, per avvicinarla al mio cuore e senza fare rumore la canterò. Perché la poesia è un ponte di rivoluzioni.
Mediterò con ogni briciola di forza, con volontà ferrea mentre tutto intorno precipita e si modifica, ferma mentre galoppano i crolli e le chimere, salda dove si può solo sorvolare senza sostare. Mi impegnerò ad accogliere ogni bellezza umana in uno spazio nitido e fresco, globally brand new, dove creare insieme altro che non si era mai visto.
Caro “lettore perfetto” (4), questo momento storico ricorda un po’ l’entusiasmo futurista d’inizio Novecento, in un pentolone dove bollono allegramente anche la necessità assoluta di unificare scienza, impresa, arte e cura, i numeri e le lettere, biologia e biografia, le religioni e le culture del pianeta, il senso di appartenenza ad una specie in via d’estinzione, l’istinto di sopravvivenza.
Serve il genio delle cose semplici, fragili e insignificanti all’apparenza, come il segreto della seta di ragno, della sua forza più robusta dell’acciaio, che oggi compone le corde dello spider violino (5). Serve ascoltare la voce dei più giovani, per chi vuol prender parte a ogni cosa buona, in certe ore.
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(1) G. Clocchiatti, Fare innovazione diffusa. Quando le idee dei dipendenti migliorano la competitività dell'azienda, FrancoAngeli, Milano, 2019
(2) O. Abbosh, P. Nunes, L. Downs, Egea edizioni, Milano, 2019
(3) Come la scultura nella foto, creata dal collettivo guidato da Tarshito, architetto e artista perfomativo di Bari, www.specialetarshito.eu
(4) P. Giacconi, C’era una volta… una cantastorie in azienda, FrancoAngeli, Milano, 2011
(5) https://bit.ly/2SnRNH8, il brevetto italiano è frutto di due anni di ricerche, con 38 persone di 14 paesi.
Diciamolo subito: l’eroe delle fiabe, persino il più semplice, agisce fra mille problemi e cataclismi però quando raccoglie risultati, grazie all’aiuto della Fata, è semplicemente felice. Si gusta il momento, anzi vive felice e contento per sempre perché ha imparato una modalità operativa importante. Si riesce solo insieme.
Qua va in altro modo, nel mondo dell’umanità che va sulla luna, scende in fondo al mare, fa interventi di micro precisione al cervello. Soffriamo spesso della sindrome dell’impostore: non siamo capaci di interiorizzare i nostri successi e viviamo addirittura nel timore continuo che qualcuno ci denunci come impostori. Fino al terrore.
Se al lavoro abbiamo queste paure, quando rientriamo nel nostro nido almeno stiamo tranquilli. Nient’affatto! Chi soffre della sindrome dell’impostore prova un esaurimento emotivo che lo tiene in scacco in un conflitto continuo tra l’ambito professionale e quello familiare. Con un’insoddisfazione cocente vissuta anche verso i propri cari, perché pure i loro standard sono percepiti molto alti e potremmo non essere all’altezza.
Tutto ciò succede soprattutto alle donne (al 66%), come rivela uno studio OnePoll condotto per conto di Access Commercial Finance. Non dipenderà forse da centinaia d’anni in cui la questione di genere non è stata affrontata, ma semplicemente liquidata per, diciamo così, palese inferiorità delle donne?
Un’altra vita è possibile! Impariamo a trasformare la narrazione che ci facciamo e che facciamo agli altri, specialmente alle bambine. Solo così potremo cambiare le loro vite e quindi le loro storie narrate. Facciamolo anche perché cambiare le storie favorisce il concetto di Partnership, qualità delle relazioni sempre più Cenerentola nella nostra società.
Una cultura della partnership nel mondo in generale e in quello lavorativo in particolare, dove trascorriamo gran parte della nostra vita, sarebbe la scelta vincente. Perché in grado di abbattere parola dopo parola una cultura aggressiva, fatta di sfruttamento e mancanza di rispetto reciproco.
La cultura della partnership combatte orchi, streghe e demoni, trasforma i comportamenti che avvelenano la nostra vita personale e poi si riflettono più in grande su relazioni personali e professionali, aziende e famiglie, sul mondo. Una cultura della partnership accoglie, riconosce, appaga. Ed è a vantaggio di tutti.
Niente più impostori, niente più impostore!
Avere una visione imprenditoriale oggi significa incarnare il paradigma sistemico, viverlo in toto, non solo una smaltata di nuovo.
Quanto tempo utilizziamo per riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni, sulla ricaduta che avranno all’interno della nostra coppia e famiglia, del paese, della regione, stato, continente, pianeta?
Se non abbiamo l’abitudine di fermarci e riflettere su noi stessi - i nostri valori e desideri, gli errori e le azioni di miglioramento da attuare -, sarà molto difficile poterlo fare per la nostra azienda.
Il neuromarketing ci insegna che in 2-3 secondi possiamo imprimere un’immagine nella mente del consumatore. Serve quindi presenza per leggere il mondo intorno a noi, per essere buoni guardiani del nostro equilibrio e scegliere il nutrimento adeguato da far entrare nella cerchia di nostra pertinenza.
Per essere intuitivi, creativi, e ricevere dal futuro la visione di ciò che desidera venire alla luce, serve un’elevata qualità di presenza durante il tempo dedicato alla riflessione meditativa, per fare il vuoto dentro di noi. Questa pratica consente di tutelarci dall’immersione ormai costante della mente in un mare di stimoli attraenti e spesso fuorvianti. Le persone colte leggono, i messaggi promozionali diretti a loro hanno da includere contenuti reali e veri apprendimenti. Come per esempio in questo publiredazionale del Sole 24 Ore, segno dei tempi che sono cambiati, della scienza che si mescola alla cultura, connessione ormai sempre più necessaria per un salto in un nuovo orbitale, in una nuova epoca. L’articolo invita a pensare alle innovazioni d’impresa come a un ciclo vivente nel quale tutto è interconnesso.
Le fiabe millenarie lo vanno raccontando fin da quando il mondo era bambino. Ci siamo messi in posizione eretta 4,5 milioni da anni fa, grazie a questo abbiamo potuto respirare meglio e abbiamo creato le condizioni organiche per poter parlare. Il sapiens compare in Africa 200.000 anni fa, ma solo 80.000 anni fa ha iniziato a parlare, ovvero a utilizzare un codice simbolico, fatto di suoni che rappresentano oggetti che sono fatti immaginare all’altro (Fabbro, 2018). Ciò che ci distingue dai cugini scimpanzé, con i quali condividiamo il 98% del patrimonio genetico, è l’immaginazione, questa è la rivoluzionaria scoperta del prof. Rizzolati all’università di Parma.
Ecco quindi il valore particolarissimo delle Fiabe, che ci fanno immaginare mondi possibili mai visti finora, che ci consentono di vedere il miglioramento di condizioni devastate e saccheggiate, che ci entusiasmano fino a spingerci dove mai nessuno ha messo piede. Nel futuro sostenibile, dove scienza, cultura, arte e umanità sviluppano nuovi modelli di convivenza ed evoluzione.
Collaborare con chiunque si incontri, per cambiare le storie che condizionano i nostri comportamenti, può fare la differenza.
Frankenstein, il personaggio creato dalla penna di una donna cent’anni prima di diventare film, è oggi metafora di come ci sentiamo in questa liquidità di sistema.
Quando pare di esser fatti di vecchi pezzi defunti cuciti insieme dal caso, mostruosi mostri capaci solo di esser soli, eppure desideriamo che la verità della nostra coscienza sia visibile nelle relazioni al di là delle apparenze.
Qual è l’elemento unificante che cuce insieme le nostre parti e ci rende umani? L’energia del fulmine nel romanzo gotico dà vita al gigante horror, ma a noi non bastano le scariche adrenaliniche ottenute con attività spericolate, esagerate o con sostanze psicotrope.
E dunque dove troviamo oggi la nostra energia, ciò che muove le nostre giornate, agite più o meno consapevolmente in allineamento con i nostri quattro valori di base?
Cosa ci spinge fuori dal letto al mattino, o dopo un malanno? Cosa ci motiva a metterci in gioco nel grande palcoscenico della vita, quando le rappresentazioni sembrano nutrire apparenti personaggi vuoti?
Cosa ci fa arrabbiare e poi fare pace? Cosa è importante davvero? Perché avere pazienza, scusarsi, non giudicare dalle apparenze?
Perché declinare la fiducia in ogni sua forma? Anche Frankenstein vuole essere felice.
Auguri a tutti in questo Natale.
Di sprofondare nel Cuore del Mondo,
per donare il Bene che sempre c'è.
Una rivoluzione gentile e spietata, la Consapevolezza!
La Voce delle Fiabe
Come un'onda di piacere
rotolo,
spumeggiante mi tuffo e
scendo,
avvolgo e distendo
la montagna d'acqua che
sono.
Capriole danzano
al galoppo,
si allungano e crescono.
Come goccia
vibro.
Sfioro altre montagne d'acqua,
abbraccio l'Infinito viaggio
da me a Me.
Fluisco, galleggio
e sempre più mi sciolgo.
Un nulla resta.
Di felicità liquida,
gassosa,
viva.
Di genesi e rinascita.
Oltre me.
In Te.
In Noi.
Piera Giacconi
testo febbraio 2014, foto ottobre 2017
Cari cuccioli,
vi ho guardato a lungo.
Ero lì nascosta nel buio
e vi guardavo giocare,
nascosta nel buio come una carogna,
come una spia che studia
il nemico, come un ladro che aspetta
il momento buono,
come un terrorista
che guarda a distanza
e fa i suoi piani d’innesco.
Io vi guardavo ammutolita,
intenerita da voi,
cari cuccioli della mia specie,
e poi anche disgustata da voi
che eravate lì inermi a un palmo dal
mio naso.
Siete indeboliti cuccioli. Siete
spaventati e soli. Siete avidi. Siete sazi. Siete svuotati.
Sfiniti siete. Siete vinti.
Io vi guardavo da una quasi nausea,
da tutto quel buio: ricordavo
un’antica infelicità d’infanzia, un’antica
paura.
Ricordavo bene quell’essere fra gli
altri, spersa, sola.
La mia paura me la ricordavo,
guardando la vostra. Ricordavo bene
il mio sguardo, come se lo avessi
sempre visto da fuori:
sbigottito, quasi non ci credevo
d’essere in questo mondo,
non me lo spiegavo, il mondo,
non mi raccapezzavo.
Come precipitata ero,
dalle altezze caduta molto giù,
molto di lato, nel mondo degli uomini
e delle donne. Nel mondo
delle case di mattoni.
Nel mondo dove si lavora e
si mangia e si dorme e
si fa la cacca ogni giorno
e ogni giorno si fa la pipì
tante di quelle volte e si mangia e
si dorme e ci si lava la faccia.
Da dentro quello sguardo,
chiusa lì dentro
nella mia fortezza
io guardavo il mondo dei grandi e
provavo una grande pietà.
Io li sentivo che piangevano dentro.
Sentivo che non ce la facevano.
Li sentivo gridare dentro. Con muri
dentro, con scarafaggi e muffe,
dentro.
E un giorno,
quando ero molto piccola,
ho fatto giuramento,
un giuramento infante,
senza le parole, ma chiarissimo
e sonante:
io me li prendo tutti nel petto
e li scampo
li porto in salvo.
Ho giurato così,
senza dire neanche una
di queste parole,
ma con tutte queste parole più forti cento volte.
Nel mio letto, vicino al grande
armadio con lo specchio,
fra le sponde alte di legno,
con la sorella vicina che tossiva,
giuravo forse ogni notte, per quella
tosse, per la faccia stanca
del mio babbo, e per tutte le facce
dei grandi,
coi loro segni come di grande pena.
Una bambina nel suo letto
ha fatto il giuramento,
recitato la formula che salva,
forse ha vinto sulla morte
e sul mondo.
Aspettavo il giorno in cui mi
avrebbero detto il grande segreto.
Sentivo, lo sapevo, che dietro al loro
non dire niente
si nascondeva la grande verità.
Sentivo, lo sapevo, che loro sapevano
tutto quello che io non sapevo.
Sentivo che un giorno me lo
avrebbero detto
e io avrei capito il mondo
e non avrei sofferto come loro,
perché loro stavano già soffrendo
anche per me. Sentivo e aspettavo.
Poi molto piano, molto in ritardo,
molto piano, millimetro dopo
millimetro,
in un lavoro di tic tac e minuti molto
piccoli, piano piano,
sono passata di là,
sono caduta del tutto nel mondo,
appiattita, schiacciata al suolo
in un lento atterraggio.
Adesso, cari cuccioli, io sono grande.
Sono molto grande.
Sono quello che mai e poi mai
avrei voluto essere:
una persona grande.
Adesso io sono dei loro.
Adesso lontanissima sono
dai miei favolosi sette anni,
quando ero un genio buono,
uscito da poco dalla lampada,
e un filosofo ero, ma senza
le parole, un grandioso poeta
analfabeta, un artista senz’arte.
Adesso da qui, da questo esilio duro,
da questo corpo con peso, da questa
mente complicata,
da questa mente ingombrante,
da qui,
da questo buio che è tutto il mio,
da qui vi guardo, adorandovi.
Vi chiedo aiuto.
Una parte di me vi supplica,
vi implora, vi chiede aiuto e aiuto.
Adesso tocca a voi salvarmi, fare
il giuramento.
Potrete? Ci riuscirete? Mi sentite?
Sentite?
Dicono che siete rotti.
Siete sazi, dicono. Corrotti.
Rovinati siete, come tutto il resto.
Anche voi nella lista lunga delle
perdite: l’acqua, l’aria, il silenzio,
il pudore… Anche voi.
Stuprati siete, rotti. Vecchissimi e
troppo stanchi per l’infanzia. Scarichi.
Vuoti.
Allora adesso imparate.
Imparate l’odore dei nemici potenti.
Sbranate, cuccioli, le loro mani piene.
Scassate le loro tane come galere.
Sputate sui loro piatti, incendiate le
stanze gonfie di giocattoli,
scappate, morsicate, tirate pietre sui
televisori, scalciate, spaccate questo
micidiale nostro sogno, l’inesauribile
bisogno di confort,
fateci a pezzi, scancellate noi, puniteci
per avere fatto di voi
le nostre miniature
per avervi disinnescati, resi innocui,
per non avervi ascoltati, nel vostro
sommo sapere.
Voi che eravate le porte
del regno dei cieli
e chi non passava da voi non passava
voi che eravate purissima gioia
voi che eravate noi bloccati nella
più grande bellezza
voi che somigliavate ai cuccioli
degli altri animali
voi che capivate lo splendore
misterioso degli animali
voi che dormivate un sonno perfetto
e benedetto
voi che vi svegliavate ridendo
voi che facevate balletti strepitosi.
Voi, nostre divinità domestiche.
Nascete ancora, cuccioli. Restate.
Siate. Salvate. Giurate. Siate. Siate.
Siate.
Mariangela Gualtieri, L'arboreto Edizioni, 2006
Musicista a 18 anni fino all’esaurimento nervoso, diventa poi un pittore di fama internazionale, con nei cromosomi un’eredità di matematica e scienza, Felice Casorati. Ha un padre militare di carriera, che sposta la famiglia tra Milano, Reggio Emilia, Padova e Sassari. Dopo il conservatorio, il nostro si laurea in legge; nel 1915 parte in guerra e poi al rientro si stabilisce a Torino, dove si impegna nella ricostruzione culturale del paese, si fa una famiglia e diventa padre. Storia di un artista di cent’anni fa o biografia di un ragazzo d’oggi?
Sdoganiamo la complessità di una formazione poliedrica! Se i giovani nel Terzo Millennio spaziano tra diverse realtà di studio e sperimentazione, fino a sfociare in progetti ufo come Together a Roma, basato sulla filosofia della cross-inspiration, non sono da etichettare come drop out, rifiuti che non riescono a conformarsi al nostro decrepito modello sociale e non ce la fanno ad adattarsi ai tempi.
Loro sono piuttosto le prime avvisaglie di una generazione evoluta, sono persone in un “formato beta permanente”, come scrive Luisa Carrada, ovvero capaci di modificarsi di continuo sulla base degli stimoli costruttivi che incontrano strada facendo. Traggono ispirazione a ogni battuta d’arresto, all’incrocio con il diverso da sé, magico vero? La vita è movimento, tutto finisce, anche le crisi… cosa resta sul piatto? Quel poco che rimane, i ragazzi lo compongono in gruppo. Questa nostra accelerata realtà è il luogo in cui sono nati, la libertà è l’unica vastità che conoscono; e in essa cercano di scoprire con animo aperto – come uno scienziato alle prese con un farmaco miracoloso – ciò che li fa vivere bene insieme e li nutre tutti. Nessuno escluso.
La principale risorsa per un essere umano – scrive nel 2007 il biofisico e psicologo canadese Peter Levine, esperto di traumi – è la capacità di trasformare l’ansia in benessere. Vogliamo riappropriarcene? Osserviamo i giovani, che il futuro lo hanno dentro a guidarli. E che costruiscono unioni di persone umane, senza credere che non si può, che non si è mai visto né si è mai fatto. Con lo sguardo al passato, invecchiamo; con gli occhi pieni di futuro abbiamo ancora chance di provare insieme a costruire il nuovo, usando quel che c’è intorno a noi, invece di rifiutarlo.
Intuito, Ergo Sum! Le tecnologie, chissà dove ci porteranno se non abbiamo a cuore l’umanità della persona. Eppure sono ora la macro-metafora, il filo conduttore che ci unifica come cellule di un unico grande corpo, il pianeta Terra. L’interscambio, l’integrazione, l’accogliere stimoli e persone mai neppure immaginati, crescere, crescere, crescere.
Se ciò avverrà, sarò solo grazie ai giovani, che con il loro rifiuto a omologarsi, raccontano oggi di cosa siamo fatti. Puro infinito di relazioni enzimatiche, qualità umane rese attive e agili da un interscambio continuo, da una comunità ricca di incroci incrociati e non programmabili. Loro non lo dimenticano, i nostri ragazzi tecnologici…
E noi?
"Alza le parole, non la voce. È la pioggia che fa crescere i fiori, non il tuono" Rumi, XIII secolo
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Credits foto: Raffaele Cavicchi, streetphotographer e co-founder GoodFellas
«Un uomo è infelice se non è imitato» dice Oscar Farinetti fondatore di Eataly, in un’intervista tv all’apertura dell’EXPO, citando Ovidio. Ma io sono donna, e quanta sorpresa a vedermi imitata!
Parole virali, le mie. Le utilizzo sui social, nel sito, nei libri e nelle dispense di formazione. Storie virali quelle testimoniate, a raccontare come si applica con successo la polvere d’oro della cantastorieria. In organizzazioni sanitarie, culturali, educative, tecnologiche, produttive, volontaristiche.
Affinché sia visibile e condivisibile quanto si fa. A dare speranza, energia per trasformare, fiducia da vendere. Per sostenere questa rinascita in una umanità nuova, mai vista prima. Affinché serva a far evolvere lo stile delle relazioni. Ad andare oltre lo specchio come Alice, e scoprire nuovi approdi.
Oltre categorie come padrone, dipendente, sfruttatore, vittima, ci attende da sempre la Qualità Umana, narrano le fiabe millenarie. Per farne parte, serve un approccio integrato anche a chi si esprime in economia e società. Il meglio di sé, l’eccellenza come base di partenza. Che incontra il meglio dell’altro e costruisce insieme.
Agile, rapido, il futuro corre sulle fibre ottiche alla velocità delle sinapsi e ci collega tutti nell’universo mondo. Lascia indietro farfugli e garbugli, ché alla verità bastan poche parole per spiegarsi.
I giovani manager nati negli anni ’70, e ’80, ci mettono un attimo a rinunciare al lavoro in un’azienda senza etica e senza valori, confermano le ricerche (The Guardian, 5 maggio 2015, “Millennials want to work for employers committed to values and ethics”, citando uno studio della londinese Global Tolerance).
Il futuro è sensibile alla Qualità della vita, alle differenze, all’inclusione, alla sostenibilità dei progetti e delle imprese. Noi il pianeta lo abbiamo avuto gratis. I giovani lo sostengono per empatia, perché soffre.
Essere economicamente sostenibili oggi, significa essere convenienti a una rete di fruitori intelligenti e informati, non alla nostra sola pancia.
Significa che si può fare. Lo raccontano Bilbao, la Ruhr e Liverpool, che han trasformato il degrado con la cultura. E i risultati sotto gli occhi di tutti sono anche business oriented.
Allora largo alla mentorship, per sostenere lo sviluppo globale. Passiamo un testimone d’oro schietto, non uno stridulo farsetto. Ciò che si crea può durare in eterno, dice la fiaba longeva, se nasce da un valore interiore. Vivrà solo il meglio. Le imitazioni si scioglieranno come neve al sole. La fonte citata, perciò, è davvero una genialata. Perché sostiene la ricchezza, propria e altrui.
Mostriamo al futuro che l’umano è degno e si prende cura del pianeta. Se il post-umano è alle porte, se la tecnologia si sviluppa ai ritmi di un tornado, noi siamo alla frontiera dell’umanità. E preferiamo testimoniare l’integrità. Copiare senza dichiarare, porta povertà. Trallalero trallallà.
Vi aspettiamo a Udine a “Conoscenza in festa”.
Piera
(Credit foto: S. Dudkina, EyeEm, 16 anni, studentessa)
«Nasciamo per così dire, provvisoriamente,
da qualche parte;
soltanto a poco a poco
andiamo componendo in noi
il luogo della nostra origine,
per nascervi dopo,
e ogni giorno più definitivamente.»
Reiner Maria RILKE
La Piccola Scuola Italiana per Cantastorie riapre i battenti: eccoci alle prove d’artista. Brevi spettacoli immettono nel mondo nuovi Narratori di Infinito. Fiabe senza tempo raccontate oggi per le persone che siamo, tecnologiche, ma con l’anima di bambini innocenti. Musica popolare, un agriturismo da favola, incontri di appassionati, tra folletti e Mary Poppins del terzo millennio.
Un’occasione speciale per ringraziare chi ci ha accompagnati fin qui con fiducia, e ha fatto intorno a sé una piccola rivoluzione, sottotraccia, ogni giorno. Per costruire relazioni sane che durano e che curano. Negli ospedali, nella ricerca, nelle aziende, nei progetti per le famiglie e le scuole, nel volontariato con la disabilità.
Il 21 settembre, una domenica pomeriggio a far scrocchiare sotto i piedi le prime foglie secche, insieme, nella campagna di Pordenone. Per conoscere anche cosa bolle in pentola e sarà presto cotto a puntino per voi.
Poi dall'11 ottobre al 5 luglio, avremo 10 mesi per addestrarci a “fare della propria vita una fiaba”, e diventare abili a essere “uno, nessuno, centomila” emozioni diverse, senza pretesa di fare gli attori. A essere ciò che si dice, fino in fondo alle midolla. A essere una parola magica. A essere un miracolo che vive tra la gente.
Ecco perché oggi servono più Cantastorie in ogni luogo. Per ricordare alle persone da dove veniamo, e ricomporre in noi quel “luogo della nostra origine” per il quale proviamo un’innata nostalgia. Senza sapere dove sia. Ma come se lo conosciamo.
Vi aspettiamo.
Piera
L'INFINITO - Giacomo Leopardi
«Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.»
È ripresa la formazione alla Piccola scuola per Cantastorie, sabato scorso. Da ottobre a giugno, 10 mesi insieme per diventare artisti di un narrare millenario. È passata solo un’estate di pochi mesi, e sembra un secolo. Già, esistono i cambiamenti che cambiano, mica quelli che si resta come prima. Bisogna diventare grandi. Se il progetto è buono e serve all’insieme, l’insieme lo farà diventare grande.
In quest’epoca di evoluzione rapida come il vento, è vitale cambiare la struttura del modo di pensare, scrive il filosofo pop Franco Bolelli nel suo recente “Si fa così”. Pensare si può ancora, dice, ma meglio se dimentichiamo come si faceva, per riuscire a farlo in modo totalmente nuovo. Le fiabe ci fanno diventare un canale privilegiato tra l’intelligenza del cuore e l’intelligenza della testa, senza dimenticarci della pancia, con la forza dell’istinto vitale e l’entusiasmo.
Vi piace l’idea? Vi piace “diventare canale”? Ecco un esempio di come il pensiero cambia per l’essere umano nuovo. Dimenticarci chi crediamo di essere, le puzze sotto il naso, le palizzate fifone e il gurismo gutturale che ci fa tutti maestri. Semplicemente: essere presenti al movimento che evolve, stare nel flusso e decidere velocemente con nobiltà d’animo. Dove approderemo, dipende solo dalla qualità delle nostre scelte, lo scrissi nel 2011 in “C’era una volta… un cantastorie in azienda” e lo ripete oggi anche Bolelli.
Viviamo un’epoca di forti espressioni individuali, di tanta genialità che viene alla luce, di molte opportunità che i miei genitori o fratelli maggiori non hanno avuto. Sembra fatta apposta per scoprire chi siamo veramente e cosa abbiamo da fare quaggiù sul pianeta azzurro chiamato Terra. Come se adesso in molti, contemporaneamente e senza nemmeno conoscerci, ma confidando gli uni negli altri, potessimo decidere insieme cosa diventare da grandi.
Diventare esseri umani evoluti, basta con le scimmie seppur evolute che parlano senza comprendersi o passano il tempo a litigare.
Adesso bisogna comprendersi, fare insieme, agire per un bene più alto, consapevoli di essere ripieni di infinita umanità.
Piera
Jean-Pascal Debailleul in Italia per la prima volta. In un ospedale di punta per la ricerca sul cancro e in una università. È successo il 23 e 24 novembre 2012, in provincia, in una regione lontana nelle retrovie del nord-est.
È venuto a parlare di un modo nuovo di comunicare che è necessario oggi, ai tempi del microchip e del bit, del web 3.0.
Il modo più rapido che c'è. Quello senza le parole della bocca.
Le fiabe narrano da millenni come si fa a sviluppare un potenziale debole ma risolutorio, udito solo sottopelle.
Raccontano il modo di andare fino al capovolgimento delle opposizioni, attraverso la capacità di fare il vuoto dentro di sé.
Narrano di un'alleanza con le forze più grandi di noi, alle quali parliamo intuitivamente, in intelligenza collettiva, fiutando le sincronicità che si susseguono.
Dopo la comunicazione strutturata e tecnica, dopo quella emotiva che crea senso di appartenenza, ecco la comunicazione più veloce, necessaria per vivere il momento presente. La comunicazione intuitiva. Essa ci rende un "termostato", in grado di elevare il livello di un ambiente, l'efficacia delle relazioni in atto, la sostanza dei contenuti.
Perché è il tempo di apprendere a lasciarsi guidare, quasi presi per mano, dalla Vita stessa. Il vecchio modo di condizionarci, manipolarci, criticarci, ferirci, motivarci non regge la velocità dell'evoluzione. Un salto epocale, come quando dall'Homo di Neanderthal si passò all'Homo Sapiens Sapiens, dall'animale all'uomo.
Comunicare da Infinito a Infinito tra esseri evoluti, aiuta a costruire il mondo del futuro sulle leggi dell'Abbondanza. Che ha solo le nostre idee intuitive per venire alla luce.
Per partecipare consapevolmente e responsabilmente al creato, e renderlo il luogo più interessante dove esprimere ora la nostra Qualità Umana.
A presto, Piera
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